Il Lab è aperto!

Nuovi speciali - Suggerimenti?


#4

dissapore è troppo frequente, mettono cose ogni giorni, sai se fanno riassunti settimanali o cose del genere?

La newsletter di rockol sembra interessante, ma non la trovo online :confused:


#5

Secondo voi Breaking Italy potrebbe essere un buon canale youtube?

A me non dispiace in totale, anche se troppo semplicistico (o semplicemente con idee che non condivido). Pero’ ha un sacco di successo mi sembra. Potrebbe essere interessante anche una collaborazione


#6

Per Dissapore ci sarebbe il feed RSS, che può essere configurato in automatico.

Ci si può iscrivere alla newsletter settimanale di Rockol qui:


#7

Scientificast è un podcast ad argomento scientifico in italiano, esce regolarmente ogni lunedi


#8

fantastico! perfetto


#9

lo conosco solo vagamente, ma in se penso che vada bene come contenuti. Ogni quanto esce?


#10

Da quel che leggo sul sito dice da lunedi a venerdi, devo capire se fa anche dei riassuntoni finesettimanali. Ma credo che se lo si contatta, qualche cosa si puo creare. In fondo parla di attualita’.


#11

Se volete e me ne date il permesso provo a contattarlo via mail.


#12

Contattalo pure! L’unico dubbio che ho è che se in un video parla di varie cose diverse, i commenti potrebbero essere dispersivi (o potrebbero essere pochi)


#13

Segnalo anche la newsletter “Guerre di Rete” di Carola Frediani.

Qui il link per iscriversi: https://tinyletter.com/carolafrediani

Copio il testo ricevuto ieri, così avete un’idea del contenuto (sono da cell e non lo formatto):

OPERAZIONI DI INFLUENZA, GLI USA, L’IRAN E I SOCIAL

Tanta carne al fuoco su questo fronte questa settimana, e anche tanto fumo. Cerchiamo di diradare le nebbie. Già nei giorni scorsi si era parlato di nuovi tentativi di disinformazione attraverso account finti sui social media da parte di Stati. Ora però c’è un nuovo attore sulla scena: l’Iran.
Se infatti Facebook ha smantellato una campagna - vuol dire che ha chiuso una serie di pagine e profili dal “comportamento inautentico” - che ritiene collegata all’intelligence russa (già accusata dagli Usa di aver tentato di interferire nelle elezioni 2016), account che si occupavano soprattutto di Ucraina e Siria, Twitter, Google e la stessa Facebook hanno individuato una seconda diversa campagna che riconducono all’Iran - senza arrivare a dire che sia con certezza di origine governativa, ma ci torniamo dopo. (CNBC)

Attenzione però: il caso iraniano non sarebbe un tentativo di influenzare dall’esterno la politica interna americana, ma più un’operazione per promuovere i propri interessi a livello globale. Infatti secondo l’azienda di cybersicurezza americana FireEye, la campagna iraniana includeva una rete di finti siti di notizie e profili finti sui social per spingere storie e narrative in linea con le politiche governative iraniane, dagli accordi sul nucleare a posizioni anti-saudite e anti-israeliane. Alcuni post erano diretti anche a utenti americani e sembravano adottare “identità di sinistra”, o prendere posizione contro Trump. Tuttavia, anche se questa attività potrebbe essere un preludio di tenativi di influenza nel dibattito interno americano, finora questi tentativi non si sono visti, riferisce sempre FireEye (qui il suo report intero).

E’ davvero l’Iran? FireEye parla di livello moderato di attendibilità (moderate confidence) del fatto che l’origine sia iraniana.
Anche Google (qua il suo report) sembra corroborare l’ipotesi di FireEye. E aggiunge di aver chiuso una serie di account Youtube, Google +, Blogger, associati a una “operazione di influenza”, ma anche a tentativi di attacchi di phishing, riconducibili ad attori iraniani, e in particolare alla tv di stato dell’Iran (IRIB).

Vaccini e troll
A gettare benzina sul fuoco è arrivato anche uno studio che tira in ballo di nuovo i troll russi, e che riguarda i vaccini. I vaccini e i troll russi possono produrre una reazione chimica esplosiva a livello mediatico, dunque la vicenda va presa con le pinze. Uno studio (pubblicato sull’American Journal of Public Health) sostiene che i bot che diffondono malware e altro spam disseminano anche messagi contro i vaccini, mentre i troll russi promuovono discordia sul tema. Dunque dietro l’ondata novax ci sono i troll russi? No, andiamoci piano. Inoltre è già stato concluso da più parti in passato che i messaggi dei presunti troll russi erano spesso contraddittori, e spingevano fazioni opposte su temi divisivi. Quindi, da questo punto di vista, c’è poco da stupirsi. Inoltre ci sono varie limitazioni in questo studio, alcune sono evidenziate in questo articolo di Gizmodo.

Se l’attacco era un test
Va sempre tenuto presente che il livello di paranoia (uso il termine in senso quasi “tecnico”, come lo usa chi si occupa di cybersicurezza e considera la paranoia una virtù) si sta alzando, specie negli Usa. La dimostrazione è la gaffe di questi giorni del Comitato nazionale democratico (DNC), che ha creduto di essere il bersaglio di un nuovo attacco di phishing (la creazione di un sito finto per rubare le credenziali dei suoi utenti). E invece si trattava di un test, una simulazione di phishing, fatta da una organizzazione ingaggiata apposta per mettere alla prova le difese dei democratici.
Come è potuto succedere? In sostanza, il partito democratico del Michigan ha autorizzato una società, DigiDems, a fare il test di sicurezza senza avvisare il Comitato nazionale democratico. Ma appena DigiDems ha creato un sito finto che imitava il database con le informazioni sugli elettori democratici (VoteBuilder), un’altra società di sicurezza, Lookout, se n’è accorta e ha fatto partire l’allarme. Insomma, un pastrocchio (un resoconto della vicenda su Wired). Che però da un certo punto di vista mostra lo sforzo dei democratici Usa di mettersi al sicuro.

Cosa fanno le aziende?
Intanto, le aziende tech (Facebook, Twitter, Google, Microsoft, Snapchat) si sono incontrate privatamente per discutere di come reagire alle operazioni di influenza fatte dagli Stati attraverso le loro piattaforme (scoop di Buzzfeed). E magari anche per discutere di come reagire alle richieste e alle pressioni sempre più indignate di Stati Uniti ed Europa.

Cosa fa il governo?
Ciliegina sulla torta, arriva la bordata di Alex Stamos, l’ex capo della sicurezza di Facebook, passato all’università di Stanford. L’esperto di cybersicurezza in precedenza non aveva lesinato critiche all’azienda per cui lavorava in merito alla poca chiarezza sulla questione troll e disinformazione. Però ora se la prende col governo. Che non farebbe abbastanza per prevenire questo genere di operazioni di influenza, ad esempio adottando leggi per avere più trasparenza sulle inserzioni online; e irrobustendo le misure di sicurezza sui sistemi elettorali. “Se gli Usa continuano su questa strada, rischiano di far diventare le loro elezioni la Coppa del mondo della guerriglia informativa”, ha detto (The Verge). Rassicurante, non c’è che dire.
Vale la pena di leggere tutto l’articolo scritto da Stamos (Lawfare Blog).

CRIPTOGUERRE: UN NUOVO SCONTRO TRA USA E AZIENDE TECH?
Il Dipartimento di Giustizia Usa vuole che Facebook rompa la cifratura di Messenger, la sua app di chat, per ascoltare le conversazioni (le chiamate voce) di un sospettato di una gang. E il social network starebbe resistendo alla richieste (The Verge). Si profila un nuovo braccio di ferro alla Apple-Fbi?
La questione è tecnicamente complessa e mancano i dettagli necessari per capire meglio. Ma c’è una interessante analisi della noprofit per i diritti digitali Electronic Frontier Foundation che spiega come funziona la cifratura di Messenger. Che non è di base end-to-end, cioè la più robusta e sicura, in cui solo mittente e destinatario (e nessun altro, nemmeno chi offre il servizio di chat) possono cifrare e decifrare i contenuti. Su Messenger questa opzione esiste solo se si apre appositamente una “chat segreta”. Ma soprattutto non è end-to-end nel caso delle chiamate voce, quelle che sono interessate da questo caso. Dunque Facebook avrebbe le chiavi per decifrarle. Tuttavia, non conoscendo le altre misure di sicurezza adottate dal social, non è chiaro per nulla cosa effettivamente gli venga chiesto di fare e il grado di cooperazione che dovrebbe dare. Per tutti questi motivi la vicenda potrebbe comunque essere un precedente da tenere d’occhio, anche per altre app di chat considerate più sicure (come Signal e Whatsapp), che sono end-to-end di default e per tutti i contenuti veicolati: testi, immagini, audio, chiamate, ecc

5 ANNI DI PRIGIONE PER REALITY WINNER
Reality Winner, la giovane donna che lavorava come contractor per la Nsa e che aveva passato alla testata The Intercept un documento classificato su come gli hacker russi avevano preso di mira i database degli elettori americani, è stata condannata a più di 5 anni (63 mesi) di carcere. Si era dichiarata colpevole per affievolire una pena che poteva essere molto alta a causa dell’Espionage Act, la legge del 1917 sullo spionaggio che non permette di giustificare questo genere di azioni in nome di un interesse pubblico. E’ la sentenza più lunga emessa da una corte federale per il rilascio non autorizzato di informazioni governative ai media, ha commentato la stessa accusa (The Intercept) - Chelsea Manning, ex soldato, che aveva preso 35 anni, era stata processata in una corte marziale, nota il NYT.

FACEBOOK E MODERAZIONE
Come funziona la moderazione dei contenuti su Facebook? 7500 moderatori che decidono sui contenuti presentati loro o dalle segnalazioni di altri utenti per violazione delle regole o da programmi di intelligenza artificiale. Questi ultimi funzionano meglio con lo spam, il porno, e i profili fake. Sui discorsi d’odio è molto più difficile e servono umani (approfondimento di Motherboard).
Le soluzioni adottate da Facebook avranno importanti ripercussioni sulla libertà di espressione. Ma le dinamiche, le policy, l’infrastruttura tecnica e umana usate per prendere singole decisioni sono opache per tutti gli utenti.
Questa dimensione kafkiana emerge ogni volta che un utente si vede cancellato un post senza capire perché. Tra l’altro in questi giorni ci sono state molte segnalazioni di utenti che hanno visto i propri post rimossi per spam. A quanto pare era un bug, un baco, un errore della piattaforma (ha detto Facebook attraverso un tweet su Twitter….)

BITCOIN
Un’azienda (Soluna) vuole risolvere il problema del consumo di energia di Bitcoin sfruttando l’eolico in Marocco, e reinvestendo i soldi del mining nello sviluppo di impianti di energia pulita. (MIT Technology Review)

LETTURA (IMPERDIBILE)
Come NotPeya ha bloccato il colosso dello shipping Maersk (oltre che l’Ucraina)

Vi ricordate il malware NotPetya che nel giugno 2017, partito dall’Ucraina, ha colpito aziende un po’ ovunque? Un malware che non chiedeva riscatti per avere indietro i dati, ma cancellava tutto. Su Wired c’è un resoconto dettagliato e mozzafiato (anticipazione di un libro di Andy Greenberg in uscita nel 2019) di come ha infettato la multinazionale Maersk ma anche buona parte dell’Ucraina.
Ci ha messo 45 secondi per buttare già la rete di una grossa banca ucraina. Sedici secondi per infettare una buona parte di un’azienda di trasporti. Colpiti, fra gli altri, 4 ospedali solo a Kiev, due aeroporti, 22 banche ucraine, con tanto di bancomat inusabili. “Il governo era morto”.
Dal suo canto, la Maersk, si è trovata paralizzata, risucchiata in un buco nero. E nel mezzo del disastro, è riuscita a contenere i danni grazie a un ufficio in Ghana. Che a causa di un provvidenziale blackout poco prima dell’arrivo del malware si era salvato per il rotto della cuffia.
“Posso garantirti che è un’esperienza bizzarra ritrovarsi a prenotare 500 container di shipping con Whatsapp, ma è quello che abbiamo fatto”, ha dichiarato un cliente Maersk.

CHI SPIA LE SPIE?
La strana storia di Intrusion Truth, un gruppo di presunti anonimi ricercatori e analisti di cybersicurezza, che danno la caccia agli hacker di Stato cinesi, pubblicandone le generalità. Da mesi su Twitter fra chi si occupa di questi temi circolano vari interrogativi su questo gruppo. Che però sembra essere preciso e affidabile nelle informazioni che rilascia. Dal punto di visa legale ed etico, invece, è un’altra storia. Di sicuro è un precedente. Ora c’è anche un articolo su Motherboard che riprende la vicenda.


#14

Mi sembra ottimo! L’unica cosa è che finora non è stata a cadenza regoalre, ma poco male, a quello rimediamo fancedola uscire noi in un giorno fisso.


#15

È nuova come newsletter, è partita stamattina


#16

Ah, meglio ancora.

Qua https://tinyletter.com/carolafrediani/archive mi dava altre due puntate precedenti, ma forse non sono ancora “ufficialmente pubblicate” ed è un errore di tiny letter.


#17

Ho aspettato che inviasse il primo numero prima di segnalartela


#18

la metto per mercoledì, allora


#19

Volendo c’è anche la newsletter “Eurocratica” della pagina fb “Gli Eurocrati”, però non mi sembra abbia una cadenza regolare.

Qui il link per iscriversi: https://facebook.us17.list-manage.com/subscribe?u=74233ddb3a03922d519a9e968&id=6ae35d91dc

Qui il testo dell’ultima mail ricevuta (qualche giorno fa hanno fatto anche uno speciale sui migranti):

Eurocratica #13 - Nel nome della Troika

Questo primo numero di Eurocratica dopo la pausa estiva è tutto dedicato a una “buona” notizia, l’uscita della Grecia dal programma di aiuti economici e finanziari imposto da Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea. In due parole, la Troika ha fatto i bagagli e salutato (per sempre?) il dolce vento del Pireo.

Ma otto anni dopo, cosa rimane di quella che fu la culla culturale d’Europa?

Ripercorrere qui l’intera crisi greca sarebbe compito improbo ma, per chiarezza, ha senso segnare alcuni punti fondamentali:

Settembre 2009: il Primo Ministro George Papandreou dichiara: “il nostro debito è al 113% del PIL” e svela che il governo (conservatore) precedente aveva nascosto le reali condizioni finanziarie del paese;
Gennaio 2010: il Governo Greco rivede le stime del rapporto deficit/PIL, portandole dal 3,7% al 12,7%;
Maggio 2010: Commissione Europea e FMI stanziano 110 miliardi per salvare la Grecia. Si tratta del primo intervento del Fondo in un paese dell’Eurozona;
Luglio 2011: il Consiglio Europeo stanzia altri 50 miliardi, quasi tutti provenienti da banche francesi e tedesche;
Ottobre 2011: con una mossa a sorpresa Papandreou annuncia che terrà un referendum sull’approvazione o meno del piano di salvataggio (che contempla aumenti delle tasse, tagli nel settore pubblico e rigore fiscale). Di fatto chiede al paese se vuole rimanere o no nella UE e nella zona Euro;
Novembre 2011: Papandreou cede e annulla il referendum. Il governo guidato dal PASOK (il partito socialista greco) si dimette e gli subentra un esecutivo guidato dall’ex vicepresidente della BCE Lucas Papademos;
Marzo/Aprile 2012: dopo una nuova tranche di aiuti da 30 miliardi e un accordo con i creditori privati (le banche) per una miniristrutturazione del debito. Nel frattempo vengono convocate le elezioni anticipate;
Giugno 2012: la Grecia al voto. Nuova Democrazia (centrodestra) ottiene circa il 30% dei consensi ma non ha abbastanza seggi per formare un governo. Dopo lunghe trattative si insedia un (debole) esecutivo sostenuto anche da PASOK e Sinistra;
Novembre 2012: tra scontri di piazza, manifestazioni e violenze, viene approvato un nuovo piano di austerità;
Aprile 2014: la Grecia rientra nei mercati finanziari mondiali. Viene annunciato un avanzo primario di 1,5 miliardi di euro;
Maggio 2014: lo sconosciuto Alexis Tsipras, alla guida di una eterogenea coalizione di forze di estrema sinistra stravince le elezioni europee con il 26%. Fra le sue promesse, la fine dell’austerità e un nuovo accordo con l’Unione Europea;
Autunno 2014: il primo ministro Samaras annuncia che la Grecia è pronta a uscire (in anticipo) dal programma di sostegno della Troika, ma viene smentito dall’Eurogruppo. Il governo entra in crisi, arrivano le elezioni anticipate;
Gennaio 2015: Alexis Tsipras è il nuovo Primo Ministro greco con il 36,6% dei voti, nomina ministro delle finanze l’eccentrico Yanis Varoufakis (un economista eterodosso laureato in Gran Bretagna e con un passato nel settore dei videogiochi) e annuncia “il tempo dell’austerità è finito”;
Primavera 2015: il governo Tsipras prova a negoziare un accordo meno “umiliante” con la Troika ma si scontra soprattutto con il coriaceo ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble;
Luglio 2015: con un discorso alla nazione Tsipras annuncia un referendum sul nuovo pacchetto di aiuti economici. Nonostante la strabordante vittoria dell’OXI (no) con oltre il 60% dei consensi, alla fine Tsipras cede, fa dimettere Varoufakis (per sostituirlo con un più malleabile professorino di economia) e firma l’accordo dopo una nottata tesissima al Consiglio europeo.

Da quel torrido 2015 la crisi greca, come ha scritto il Financial Times, è diventata un problema cronico, non più un’emergenza da codice rosso ma, comunque, c’è pochissimo da festeggiare. L’economia cresce, è vero, ma lo stato ellenico ha macellato il suo settore pubblico vendendo le infrastrutture più strategiche a investitori cinesi (il porto del Pireo) e tedeschi (gli aeroporti, compresi quelli turistici), mentre le pensioni sono calate - in alcuni casi - anche del 50%. Le banche greche sono ancora piene di NPL (non performing loans, ovvero crediti poco o per nulla esigibili) ma lo stato non può finanziare un consolidamento dei bilanci mentre gli indici di produttività del lavoro, facilità di avviare nuove imprese e modernità della pubblica amministrazione rimangono fra i più bassi d’Europa.

Come se non bastasse, in un paper pubblicato a luglio, è lo stesso Fondo Monetario Internazionale a disconoscere quasi del tutto la “cura greca”, dicendo:

“La Grecia ha stabilizzato la sua economia e ha iniziato a crescere. Vanno riconosciuti alle autorità gli sforzi fatti per eliminare, in massima parte, gli squilibri macroeconomici, soprattutto tramite un significativo aggiustamento fiscale, e per le molte riforme implementate negli anni recenti. […]
Comunque, mentre il paese uscirà dal programma di aiuti ad agosto, l’eredità della crisi e l’incompletezza di alcune riforme pesano sul futuro della Grecia. Un debito pubblico alto, banche deboli, i controlli sui movimenti di capitale, la liquidità a livelli emergenziali, nonché indicatori sociali preoccupanti - compresa l’alta disoccupazione - gettano un’ombra sulla coesione sociale del paese.
L’aggiustamento fiscale è stato importante ma si è basato su un aumento delle aliquote fiscali su ceti ancora limitati e su tagli alla spesa in settori che garantivano crescita. I tentativi di abbassare le tasse e limitare le spese improduttive hanno visto successi limitati. La spesa sociale è migliorata, ma molte necessità rimangono senza risposta e il rischio di cadere in povertà rimane alto.
Il credito bancario continua a calare. Le riforme strutturali che avrebbero dovuto migliorare crescita e competitività - anche se significative - hanno dato meno risultati del previsto, mentre tutti gli indicatori rimangono sotto la media della zona euro.”

Anche senza essere specialisti del settore si capisce come quella qui sopra non sia esattamente la descrizione di un successo su tutti i fronti. Ma si tratta solo dell’ultimo tassello di una presa di coscienza che, purtroppo (per la Grecia ma pure per l’Europa) è arrivato troppo tardi. Già nel 2016 Christine Lagarde (Direttrice del FMI) aveva ammesso che i tecnici del Fondo avevano “sbagliato a calcolare i moltiplicatori”, dando troppo peso alle riforme strutturali e all’austerità di bilancio. Come se non bastasse, sempre il FMI, aveva già ammesso nel 2013 che l’intera operazione greca serviva - politicamente - a “guadagnare tempo” per permettere alla zona euro di dotarsi di strumenti meno traumatici per gestire le crisi.
Ma le parole forse più dure sono quelle di Vitor Constancio, portoghese, già membro del board della Banca Centrale Europea, delegato da Mario Draghi per le questioni greche: “Il programma è stato troppo duro, non abbiamo tenuto conto del crollo della speranza e delle aspettative.”

Al netto delle questioni tecniche, però, la crisi greca rappresenta forse il più grande fallimento politico dell’Unione Europea: nel 2009 solo una piccola minoranza di eretici cercava sommessamente di dire che una ristrutturazione immediata del debito avrebbe evitato guai ben peggiori, nel 2018 c’è ormai un certo accordo. All’epoca prevalsero considerazioni di ordine utilitaristico (evitare perdite alle banche del nord Europa) ma pure una certa etica protestante che - da sempre - si esprime nel capitalismo. La Germania aveva bisogno di far capire ai partner europei che era pronta a tutto pur di non assumersi l’onere dei debiti altrui, la piccola grecia era la cavia giusta per impressionare Francia, Spagna e Italia.
Ma non finisce qui, la crisi greca, dieci anni dopo, ha svelato tutti i limiti del Washington consensus, scardinando quasi del tutto alcuni dogmi come la mitologica austerità espansiva e il presunto legame inverso tra competitività del mercato del lavoro e ammortizzatori sociali.

Oggi la Grecia è un paese forse nominalmente più ricco ma molto più impaurito, alle elezioni (che, salvo sorprese, si terranno nel 2019) Tsipras, ormai odiato e deriso, veleggia su percentuali lontane dal trionfo di cinque anni fa, mentre si profila un ritorno al governo (l’ennesimo) di quella destra conservatrice che aveva truccato i conti negli anni ‘90. Nel frattempo il glorioso Partito Socialista Panellenico è sparito e i neonazisti di Alba Dorata veleggiano su percentuali prossime al 10%.

Atene, per mantenere il suo debito sostenibile dovrà mantenere un avanzo primario di almeno il 3,5% del PIL fino al 2022 e del 2,2% fino al 2060, altrimenti c’è la certezza matematica che la manfrina riparta dall’inizio. Al mondo ci sono solo tre paesi con tassi di crescita più bassi di quello greco: la Libia, lo Yemen, il Venezuela e la Guinea Equatoriale.

Lasciamo ai lettori e alle lettrici le conclusioni.

Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno
Eschilo - Agamennone


Rassegna stampa

Facebook è invincibile? Pare proprio di no;
In Romania la situazione politica è sempre più complessa e qualcuno inizia a temere per la tenuta democratica del paese. Un reportage di Politico;
L’economia africana cresce. Ed è un bene. Ma forse sta crescendo nei settori sbagliati.


La citazione

“Per spiegare il commercio internazionale a Donald Trump ho usato schemi colorati e con tanti disegni”

Jean Claude Juncker



#20

Si trova online da qualche parte?


#21

Pensavo di no, invece si.

https://us17.campaign-archive.com/home/?u=74233ddb3a03922d519a9e968&id=6ae35d91dc


#22

potremmo fonderla con la newsletter di Konrad https://hookii.org/ce-la-newsletter-di-konrad/ e con lo stato dell’unione se e quando ripartirà.


#23

Ho trovato questa Newsletter, guidata da quelli che si occupano anche del Tascabile e di NOT, https://us15.campaign-archive.com/?u=6f146632ca91ad91d4b9dbd74&id=c9875abc64 (questa è una puntata in cui spiegano nei dettagli l’idea)

tratta " di Antropocene, dell’impronta dell’essere umano sulla Terra, di cambiamenti climatici e culturali"

è bisettimanale.

che ne pensate?