Introduzione
Diversi studi sugli animali hanno mostrato come sia possibile indurre i sintomi dell’anoressia nervosa sui ratti di laboratorio: alcuni di loro, infatti, in condizioni di restrizione alimentare e perdita di peso cominciano a rifiutare il cibo e diventano iperattivi; i sintomi sono più comuni nelle femmine e tendono a scomparire spontaneamente quando i ratti tornano ad alimentarsi liberamente, spesso finendo per abbuffarsi senza limiti (riferimento 1 e 2.
Negli esseri umani si è visto invece come l’anoressia sia associata ad una serie di caratteristiche alterazioni endocrine e neurofisiologiche molto singolari: laddove infatti in un cervello sano l’ipotalamo risponde alla scarsità di cibo stimolando la produzione di ormoni oressigeni come la grelina, nel cervello di un anoressico i segnali sono misti, per cui coesistono una risposta normale ed una di diminuzione della grelina ed aumento della leptina - la conseguenza è che gli anoressici tendono a perdere il senso di sazietà e raggiungono presto la pienezza gastrica, ma pensano in continuazione al cibo (riferimento).
Sono state anche individuate alcune regioni genomiche potenzialmente legate alla patogenesi della malattia (riferimento).
Non è poi da dimenticare il Minnesota Starvation Experiment, vasto studio clinico condotto tra il 1944 ed il 1945 dal celebre fisiologo Ancel Keys, in cui un gruppo di volontari in buona salute venne sottoposto ad un periodo di forte restrizione calorica (che potesse mimare le condizioni di inedia che l’Europa stava sperimentando in quel periodo), seguito da uno di alimentazione incontrollata. Nel corso del primo periodo i volontari mostrarono alcuni dei sintomi tipici dell’anoressia - depressione, dismorfia corporea, irritabilità, ritualità, calo del desiderio sessuale, perdita del normale senso di sazietà ed estrema preoccupazione ed ossessione per il cibo (alcuni iniziarono a collezionare libri di ricette) - che poi scomparvero durante il periodo di rialimentazione, nel quale alcuni soggetti arrivarono a consumare oltre 5000 calorie al giorno.
Queste ed altre ricerche hanno fatto supporre che l’anoressia sia una condizione con forti basi genetiche e fisiologiche.
Una delle teorie proposte è quella dell’adattamento alle carestie (riferimento), secondo cui l’anoressia sarebbe il residuo di un meccanismo di adattamento evolutivo con cui gli animali, e gli esseri umani preistorici, sfuggivano alle carestie. Fuggire da un ambiente in cui c’è scarsità di cibo per migrare in uno in cui il cibo è abbondante è una reazione istintiva comune negli animali. La condizione anoressica si “attiverebbe” quindi, nei soggetti geneticamente predisposti, quando il cervello percepisce una situazione di scarsità di cibo, come può accadere in una dieta.
In quest’ottica sarebbe possibile spiegare molti dei sintomi apparentemente incomprensibili dell’anoressia: essere in grado di mangiare il meno possibile, muoversi il più possibile, non sentire la fame e la fatica, non avere coscienza della propria condizione di malnutrizione sarebbero tutte caratteristiche evoluzionisticamente convenienti. Inoltre si potrebbe anche spiegare perché l’anoressia è molto più comune nelle donne che negli uomini: non solo le donne sarebbero culturalmente più propense a mettersi a dieta (quindi ad attivare i segnali di scarsità di cibo) rispetto agli uomini, ma immaginando che una tribù che migra in cerca di cibo si fosse scontrata con un’altra le femmine avrebbero avuto più probabilità di sopravvivere, in quanto utili per la riproduzione, quindi sarebbe stato evoluzionisticamente conveniente per loro essere capaci di emigrare più lontano.
Un altro particolare singolare è che l’anoressia negli Stati Uniti presenta la massima incidenza negli individui nativoamericani e la minima in quelli afroamericani, rispettivamente i gruppi che sono emigrati di più e di meno nel corso della preistoria (riferimento).
L’anoressia è sempre stata presente nel corso della storia e di volta in volta è stata spiegata in modo diverso: nelle presunte anoressiche premoderne come un rifiuto delle bassezze corporee o un anelare ad una purezza “superiore”; in epoca vittoriana come un rifiuto della sessualità; oggi come una ricerca della magrezza, una volontà di controllo od una reazione ad un ambiente familiare o delle relazioni parentali disfunzionali, nonostante gli studi sui gemelli suggeriscano che non esista alcun particolare ambiente familiare significativamente associato allo sviluppo dell’anoressia (riferimento).
I sintomi anoressici si mescolano facilmente con gli altri problemi psicologici dell’individuo, per cui in condizione di comorbidità con malattie come la depressione può essere difficile distinguere i sintomi delle differenti patologie. Tuttavia una simile prospettiva potrebbe aprire scenari rivoluzionari nella comprensione e nella narrativa della malattia, oltre che nel suo trattamento.
MOTIVO
Introduzione da verificare oltre le competenze delle marmotte, servirebbe almeno un un articolo divulgativo accessibile a tutti.